Intervista

Signor Gongo, la rubrica sull'Alpinismo del nostro giornale desidera conoscere il suo modo di pensare e affrontare la montagna; innanzitutto ci dica che cosa è per lei l'Alpinismo.

L'Alpinismo è una truffa. Per appagare il desiderio narcisistico della conquista gli uomini si sono inventati tutta una serie di trucchi pur di vincere difficoltà sempre maggiori. Appena ci si è buttati sull'artificiale il mondo magico del rapporto puro e semplice, del confronto alla pari con la montagna è sfumato, definitivamente morto e sepolto. Non mi riconosco nell'Alpinismo che è un falso ideologico, perpetrato e poi inculcato nelle generazioni a seguire come se esso fosse un dogma invalicabile.

Ma, allora i grandi dell'Alpinismo, Bonatti, Messner ecc. sono una truffa?

Sì, lo sono. In buona fede, ma lo sono. Per fare un esempio basato sulla Storia italiana: i nati nell'era fascista, che hanno fatto le scuole fasciste e imparato l'unica ideologia che vi era in circolazione erano fascisti, malgrado loro. Così i giovani che si avvicinano alla montagna, oggi e nel passato, hanno a disposizione un solo messaggio, divulgato dai media e dalle associazioni vicine alla montagna e cavalcato di gran carriera dal marketing.

Quale sarebbe questo messaggio?

Che si può tutto! Con ogni mezzo! Che conta quello che viene osannato dalla stampa e dalla pubblicità: se non vesti Montura sei uno sfigato, se non fai il 6c sei un handicappato, se non sali il Bianco o il Rosa o altre vette di grido non sei nessuno.

E lei invece che messaggio vuole lanciare?

Io ho un messaggio, ma non sono nessuno. Però esisto e non ho timore di parlare contro, essere fuori dal coro, emarginato se vuoi, ma non me ne frega granché. Faccio quello che faccio, assecondando le mie possibilità e capacità, non un'unghia di più. Forzare un passaggio con una manovra di corda non è nei miei canoni, piuttosto torno indietro. Non mi proteggo, mai, vinco di volta in volta la paura e il pericolo, sempre cercando dentro di me le risorse per farlo. Credo che l'attrezzatura più valida per scalare una montagna sia dentro di noi.

Questo lo dicono anche i più forti scalatori di oggi, eppure si legano e piantano chiodi.

Ognuno fa come crede più opportuno: un chiodo però maschera tutta una serie di conflitti interiori che restano uguali anche nel futuro e che non affronterai mai veramente.

Però le sue vie che apre non vanno mai oltre il terzo grado e su queste difficoltà gli scalatori di cui sopra non si legano mai.

Sto parlando di me, io sono questo: il massimo che riesco ad affrontare in tema di difficoltà è il terzo da te detto; per gli scalatori che citi forse il loro massimo è l'ottavo o il nono, ma su quei gradi si legano.

Parliamo delle sue vie: si dice siano vie normali del tipo pre alpinismo, simili, per intenderci, a quelle che realizzavano i pionieri sulle vette mai salite. Crede che qualcuno le vada a ripetere? Le apre per lasciare qualcosa di sé sulla montagna, per essere ricordato?

Ecco! Lei mi ha fatto delle domande con un punto di vista che mette in primo piano le pulsioni umane: il bisogno di far vedere quanto vali e di essere ricordato. Non è questo che mi muove. È qualcosa di incomprensibile per lei che vedo tutto dentro al meccanismo. Eppure di cosa semplice si tratta. Ripetere vie pur difficili, anche slegati, sono in molti che lo fanno, ne conosco qualcuno, non ti potrà mai dare le soddisfazioni che la ricerca, l'esplorazione ti sa offrire. Per una via nuova ci devo mettere tutte le mie competenze, l'esperienza, devo sapere veramente quanto valgo, non posso barare con me stesso; la via che ne viene fuori è solo proiettata sulla montagna, come su uno schermo, essa però è impressa dentro di me, è prima di tutto un percorso personale di autostima, di personalità, di grande amore per quello che faccio; sulla via qualcuno potrà salire, nessuno mai potrà vedere cosa è inciso nel mio cuore. Che lei scriva o non scriva ciò che le ho detto non fa nessuna differenza, non cerco protagonismi, non cedo alle pur non esecrabili debolezze umane; credo però che un punto di vista diverso vada divulgato, se non altro per i giovani che cercano un qualcosa che dia un senso alla vita avvicinandosi ai monti. Questo qualcosa è un'educazione personale, una crescita interiore che la pubblicistica riconosce come una delle prerogative dalla montagna, che però poi non dice come si acquisisce e quali siano i tranelli che fanno perdere di vista l'obiettivo. La montagna strapazzata, usata, vilipesa non educa, non dà nulla che non sia il puro divertimento. Parafrasando Kugy dico: non cercate nel Monte un'impalcatura per arrampicare, cercatevi la vostra anima.